venerdì 25 marzo 2016

Da leggere: Rodolfo Walsh


Rodolfo Walsh



Ancora e sempre, Rodolfo Walsh

Sono in molti a pensare che l’arrivo a Buenos Aires di Barack Obama, all’alba di mercoledì 23, intenda sottolineare e sostenere il cambiamento di rotta dell’Argentina: una mossa prevedibile e non certo isolata, in un momento in cui i mercati stanno prendendo le misure a un paese pronto a tuffarsi senza rete nel liberismo più sfrenato. Le organizzazioni per i diritti umani, tuttavia, sembrano non aver apprezzato né l’istantaneo appoggio a un governo così pericolosamente di destra, né la scelta di una data fin troppo simbolica, quella del quarantesimo anniversario della più sanguinosa tra le dittature argentine. Lo ha detto chiaramente anche Estela Carlotto (“È una data molto delicata. Che venga il presidente di un paese che ha creato la Dottrina della Sicurezza Nazionale… il paese di Kissinger, che ha formato i repressori dell’America latina”), esprimendo a nome di tutti lo scarso gradimento per un’eventuale visita presidenziale alla ex ESMA, uno dei principali luoghi di tortura e detenzione.

E così, nonostante un ramoscello d’olivo (a lungo negato ai Kirchner, ma subito offerto a Macri) come l’annuncio dell’apertura degli archivi in cui sono custoditi i documenti sulla Giunta e le sue relazioni con il governo degli Stati Uniti, giovedì 24 il presidente si limiterà a una rapida visita mattutina al Parco della Memoria, dove si snoda un monumento composto da trentamila lastre di pietra con i nomi dei desaparecidos e di altre vittime, ordinati per anno. Là, alla data del 25 marzo 1977, figura il nome di Rodolfo Walsh, scrittore e giornalista di origine irlandese nato nel 1927 nella remota provincia di Río Negro e autore, tra l’altro, della celebre Lettera aperta di uno scrittore alla Giunta militare, scritta per denunciare non solo i crimini della dittatura ma anche la sua rovinosa politica economica. Fu proprio quando aveva appena inviato per posta le prime copie della sua Lettera, che cadde in un’imboscata e venne ucciso durante uno scontro a fuoco: del suo corpo, portato probabilmente alla ESMA, non si è mai trovata traccia.

Divenuto anche per questo una leggenda, nel suo paese come altrove, Rodolfo Walsh è stato indubbiamente un personaggio di enorme rigore morale, intelligenza e talento, che, scegliendo una personalissima via al giornalismo, ha lasciato una traccia profonda nella cultura latinoamericana; su di lui tutto è stato detto e scritto e la bibliografia che lo riguarda è sterminata, anche se al lettore italiano sono arrivate, nel corso degli anni, solo alcune traduzioni delle opere più strettamente letterarie, come i racconti polizieschi di Variazioni in rosso o quelli, splendidi e audaci, raccolti in Fotografie, più una superba prova di giornalismo narrativo qual è Operazione Massacro, nato da un’inchiesta sulla fucilazione di un gruppo di civili durante il governo Aramburu. Ora, a trentanove anni dalla morte, il numero dei titoli disponibili aumenta grazie a Il violento mestiere di scrivere (La Nuova Frontiera, pag. 224, e. 12,50, da domani in libreria), curato da Alessandro Leogrande che ha scelto quattordici “pezzi” magistrali, attingendo alla raccolta completa degli articoli di Walsh curata da Daniel Link per le Ediciones de la Flor, e li ha commentati nella lunga e documentata prefazione.

La lucidità dello sguardo di Walsh, la passione per la giustizia, il linguaggio tagliente, lo stile conciso e leggibile (secondo David Viñas, la sua scrittura si distingueva per prodigiosa economia di parole e raffinatezza letteraria), l’irrefutabile presentazione di prove e fatti, non possono che stupire quanti hanno a che fare con l’arruffato giornalismo contemporaneo e con le sue frequenti sciatterie, o con il narcisismo e la cortigianeria che spesso lo segnano. E dunque Anch’io sono stato fucilato, che precede e annuncia Operazione Massacro, o gli scritti sulla Banda della Picana (ovvero le squadracce che, ben prima della dittatura, ricorrevano alla picana, strumento di tortura introdotto negli anni ’30 dal capo della polizia Polo Lugones), o il bellissimo L’isola dei resuscitati, su una comunità di lebbrosi destinata a essere espulsa dal proprio rifugio per lasciare il posto a un casinò, fino all’avvincente resoconto della decifrazione di alcuni messaggi che annunciavano lo sbarco nella Baia dei Porci, sono altrettante testimonianze del fatto che Walsh è stato e rimane un maestro.

Coniugando etica e tecnica narrativa, e muovendosi lungo il labile confine tra grande giornalismo di inchiesta e letteratura (per lui, due facce di una stessa medaglia), ha ampiamente anticipato il new journalism nordamericano e messo al contempo le basi del nuevo periodismo latinoamericano, restando inarrivabile ma lasciandoci eredi più che degni, come Leila Guerriero, Alma Guillermoprieto, Sergio González Rodríguez o Lydia Cacho, oggi impegnati, proprio come lui, “a rendere testimonianza”, a raccontare storie con abilità e coraggio, a cercare di capire. E questo, tra i molti meriti di Rodolfo Walsh, non è certo il minore.

 

 Questo articolo è uscito sul quotidiano Il manifesto nel marzo del 2016