sabato 7 giugno 2014

Da leggere: Roberto Bolaño


Roberto Bolaño



Il marketing del mito 

“Davanti alla proliferazione di libri ritrovati tra le carte o nella memoria del computer di celebri autori defunti (Bolaño, Cabrera Infante, Nabokov, eccetera), un gruppo di scrittori ha deciso di guadagnarsi la vita scrivendo romanzi postumi. Dopo parecchie riunioni hanno stabilito di scrivere il romanzo postumo di Samuel Beckett, Moran, un seguito della trilogia. E insieme al manoscritto dovranno inventarsi il modo in cui il libro è stato ritrovato…”. Così Ricardo Piglia, grande scrittore e autorevole saggista argentino, scrive sul quotidiano El País: un’ipotesi ironica e bonariamente acidula che tira in ballo, e non per caso, tre autori della client list di Andrew Wylie, potentissimo agente letterario “specializzato in vedove” (la battuta è di un’altra celebre agente, Carmen Balcells).

E ancor meno casuale è che uno di loro sia proprio Roberto Bolaño, visto che il commento di Piglia coincide con l’uscita di un libro postumo dello straordinario scrittore cileno, attorno al quale il marketing del mito dispiega da tempo tutte le sue seduzioni (ne parla brillantemente Valeria Luiselli sulla rivista messicana Letras Libres, analizzando la Bolaño fever che a partire dal 2008 si è scatenata negli USA).

Subito al centro di polemiche e discussioni, da quelle alquanto logore sull’opportunità di pubblicare ciò che uno scrittore ha preferito lasciare nel cassetto, ad altre ben più interessanti sull’opera in sé, Los sinsabores del verdadero policía (Anagrama, 2011) è il terzo romanzo inedito – ma non l’ultimo, visto che ne esisterebbe un quarto intitolato Diorama – pubblicato dopo la scomparsa prematura di Bolaño, oltre a raccolte di versi, di racconti e di recensioni. In totale sette titoli, alcuni dei quali sono stati rivisti dall’autore prima della sua morte annunciata, mentre altri escono dalle mani di curatori come il critico Ignacio Echeverría o la vedova Carolina López.

È proprio lei a spiegare, in una nota al volume, che Los sinsabores… è stato ritrovato in parte nel computer di Bolaño, in parte in cartelline piene di fogli che risalgono agli anni ’80: materiali sparsi che tuttavia comporrebbero, sostiene nella prefazione il critico Juan Antonio Masoliver Ródenas, “un romanzo inconcluso ma non incompiuto, perché l’importante, per l’autore, non è stato completarlo, quanto svilupparlo”.

Prima dell’attesissima uscita si è detto che il libro sarebbe la sesta parte di 2666 o un suo prequel, ma basta leggerlo per capire quanto abbia ragione Echeverría quando, su El Cultural, sottolinea la natura magmatica di un testo cui non si può adattare la definizione di romanzo, nemmeno intesa nel senso più ampio del termine. Los sinsabores… è piuttosto un progetto accantonato, un labirinto di narrazioni che a volte hanno fatto da brodo di coltura per altre ben più risolte e compiute (in primo luogo 2666, ma anche Chiamate telefoniche, I detectives selvaggi, Stella distante) e a volte sembrano porte aperte sul vuoto, o suggeriscono un imprevedibile uso futuro che non potrà mai esserci.

Anche se una delle caratteristiche principali di Bolaño è la creazione di un universo fatto di incroci, autocitazioni, figure e temi ricorrenti che rimandano da un testo all’altro, qui siamo di fronte a qualcosa di diverso, forse un meraviglioso ripostiglio in cui l’autore è andato ammucchiando materiali nel corso del tempo e che contiene reperti preziosi, come quelli che riguardano due personaggi chiave di 2666, e cioè Arcimboldi (stavolta scrittore francese, invece che tedesco) e Amalfitano, il professore cileno insediato insieme alla figlia Rosa in una desolata città messicana modellata su Ciudad Juárez. In alcune pagine che si possono considerare tra le migliori di Bolaño, vengono finalmente svelate le ragioni di questo strano esilio: lo scandalo provocato dall’amore tra il maturo e fino ad allora eterosessuale Amalfitano e il giovane Padilla, suo studente, che lo seduce e lo inizia a una visione della poesia già ampiamente contenuta e illustrata nei Detective Selvaggi.

La corrispondenza tra i due amanti vale da sola l’intero non-romanzo, afflitto da un disordine a volte faticoso, lontano da quello apparente e in realtà minuziosamente costruito dei grandi romanzi di Bolaño, in cui il frammento e l’inconcluso hanno una loro profonda ragion d’essere. Anche così, però, Los sinsabores del verdadero policía riesce a sorprendere con un continuo succedersi di invenzioni (la dinastia delle Marie Esposito, violentate di generazione in generazione e sempre alla stessa età) e di brani ironici (il casting per un biopic di Leopardi, cui partecipano i più importanti scrittori di lingua spagnola), che testimoniano la ricchezza e la qualità della scrittura di Bolaño.

Un vero e proprio fiume in piena, insomma, e una sfida per il lettore che, da “verdadero policía”, si impegna a sbrogliare una matassa affascinante, ma non tarda a rendersi conto di come il libro abbia senso e valore solo alla luce di altri testi, frutto della maturità dello scrittore, senza i quali non avrebbe ragione di essere letto, e nemmeno pubblicato.

 

 

Questo articolo è uscito su Il manifesto nell’aprile del 2011. Nel 2012 è uscita presso Adelphi la traduzione italiana del romanzo, col titolo I dispiaceri del vero poliziotto